Intervista al Ministro
Frattini:
«Il Pdl va forte, aspettiamo
Casini. Risse stop: si discuta nel
partito»
Il Giorno Il Resto del Carlino La
Nazione
Gabriele Canè
Quando il gioco si fa duro, i duri
scendono in campo. Anche Franco
Frattini, Ministro degli Esteri, uomo
più delle istituzioni che del partito,
si toglie (caso raro, se non unico) la
marsina diplomatica e indossa la corazza
da dirigente del Pdl. Partito del
premier, con il primato, nelle ultime
settimane, della litigiosità interna.
Ministro, partiamo dal gioco della
torre. Fini o Bossi, Tremonti o
Brunetta?
«Guardi, noi come Pdl siamo vicini al 40
% e con la Lega puntiamo per le prossime
elezioni a un risultato superiore al 50.
Quindi, io non butto nessuno. Sono altri
che si devono buttare giù. Il tentativo,
semmai è di consolidare le fondamenta e
far stare più gente in questa torre. Mi
piacerebbe che ci fosse posto anche per
Casini e l’Udc, ad esempio. Con loro un
accordo non è ancora percorribile
dappertutto, ma bisogna lavorarci».
Lei non butta nessuno, ma sta di fatto
che il Pdl ultimamente sembra un coro a
molte voci. «Così non durano», titolava
ieri il Riformista.
«Qui bisogna intendersi: parliamo di
politica vera, seria, o guardiamo a chi
tifa per la disfatta? C’era chi lo
faceva anche per il terremoto e per
l’immondizia di Napoli, dunque
figuriamoci. Il problema è come evitare
esternazioni che potrebbero avere negli
organi di partito il luogo migliore per
esprimere opinioni. Certo, se un
ministro se la prende con il titolare
dell’Economia all’inizio della
discussione sulla Finanziaria, non è un
bel vedere».
Dice Berlusconi, bene il dibattito pur
che resti interno.
«Proprio così. Tutto si può affrontare
negli esecutivi di partito. Ma lo sa che
noi ogni quindici giorni abbiamo la
buona abitudine di fare una riunione
lunga e approfondita? Lì si può e si
deve parlare di tutto. Lo dissi già a
Gubbio, alla nostra scuola di
formazione: non basta trovarsi qui una
volta all’anno. Semmai dovrebbero
moltiplicarsi queste occasioni
promuovendo incontri analoghi anche e a
livello territoriale, cosa che ora
accade troppo poco.»
A proposito di economia: rigore o
rilancio? Anche senza buttare nessuno
dalla torre, è possibile quadrare il
cerchio dopo una crisi così pesante?
«E’ talmente possibile che lo stiamo
facendo. Guardi, credo che stiamo già
raccogliendo i frutti di una semina
intelligente che ha visto concentrare i
nostri interventi a favore dell’economia
reale. Noi non abbiamo aiutato i
banchieri, ma incentivato il flusso di
credito alle piccole e medie imprese.
Così si è impedito il collasso vissuto
da altri paesi che hanno inseguito
l’euforia della spesa pubblica. Voglio
vedere, ad esempio, Inghilterra e Grecia
che sono arrivate a un 7 per cento di
rapporto deficit-pil. Certo, sarebbe
stata una soluzione, ma Tremonti ha
resistito, e ha fatto bene».
Adesso però, la crisi sembra agli
sgoccioli...
«Speriamo. E a maggior ragione
raccoglieremo i frutti del rigore. Tutti
chiedono di rientrare nei parametri.
Giusto. Ma chi ha scialato come la
Francia farà molta più fatica di noi.
Noi stiamo già allentando le briglie,
con la riduzione progressiva della
tassazione sulle persone fisiche che
darà respiro ai consumi. Non a caso,
proprio unendo rigore e rilancio, come
certificano Istat e Ocse stiamo guidando
la ripresa internazionale».
Parliamo di immigrazione. Anche se il
capo della diplomazia non può
sbilanciarsi, è chiaro che l’Europa non
ci sta dando una grande mano.
«Diciamo che l’Europa ci ha costretto ad
alzare la voce. Lo abbiamo fatto prima
dell’estate quando l’Unione sembrava
disinteressarsi dei paesi mediterranei.
Poi si sono uniti a noi anche Francia,
Spagna, Grecia e anche i piccoli come
Malta e Cipro, e a ottobre abbiamo avuto
riconoscimenti importanti. E’ passato il
principio di redistribuzione degli oneri
così come è passata la richiesta di
istituire una Agenzia europea per l’
asilo e i rifugiati. E da ultimo è
passata la richiesta di una azione di
rimpatrio europeo più efficace. Adesso
aspettiamo altre iniziative, ma insomma,
ad alzare la voce si è ottenuto
qualcosa».
Immigrazione e Fini. Risorsa, cacofonia
o imbarazzo per il Pdl le posizioni del
Presidente della Camera?
«Secondo me le posizioni di Fini
illustrano un aspetto importante
dell’immigrazione di cui poco ci si è
occupati, cioè l’integrazione. Fino ad
ora noi abbiamo posto l’accento sulla
sicurezza perchè ciò che colpisce la
vita quotidiana dei cittadini è la
presenza di una massiccia immigrazione
illegale dedita in molti casi alla
criminalità. Se guardiamo le cifre
dobbiamo dire che ci siamo riusciti,
visto che nel 2009 sono arrivati
clandestinamente in Italia meno di un
decimo di quelli entrati nel 2008.
Insomma, hanno funzionato il
pattugliamento e il rimpatrio. Non a
caso Lampedusa è vuota. Ora bisogna
affrontare l’altra faccia del problema,
quella dell’integrazione perchè ci sono
tanti immigrati che rispettano la legge
e fanno lavori necessari, pensiamo agli
stagionali e al supporto alle famiglie».
Insomma, ci voleva Fini per aprire la
fase due.
«Una fase e l’altra si integrano, fanno
parte dello stesso progetto condiviso
dalla maggioranza. Fini pone un giusto
problema: integriamo chi rispetta la
legge e garantiamo due principi. Primo,
chi vuole integrarsi va seguito, guidato
e accompagnato. Secondo, a chi vuole
rientrare dobbiamo fornire i mezzi, ad
esempio il micro credito per investire
il salario. Cosa credete? Che chi viene
voglia sempre restare? Lo sapete che il
tempo di permanenza medio di uno
straniero in Italia è di 5 anni? Che
viceversa dagli anni ‘60 ad oggi 4
milioni di italiani sono emigrati in
Germania , e tre milioni e mezzo sono
rientrati, e che solo 140 mila hanno
acquisito la cittadinanza tedesca? Molto
spesso gli immigrati che vengono da Est,
tornano in patria. Pensiamo
all’«invasione» albanese degli anni`90.
Oggi sono quasi tutti di nuovo a casa
perchè l’Italia ha aiutato l’Albania a
rinascere».
Concludendo, ministro: legislatura a
rischio, o rischio di una legislatura
paralizzata dall’eterno braccio di ferro
sulla giustizia?
«Noi dobbiamo sfuggire a questo rischio
di un braccio di ferro. Il Lodo Alfano
era lo strumento corretto per uscire
dall’impasse. Nei paesi come la Francia
in cui esiste un meccanismo analogo, e
il processo non salta ma riprende a fine
mandato, si elimina il rischio del
braccio di ferro. La Corte ha preso una
decisione che non condividiamo, ma ne
prendiamo atto. Oggi un’altra soluzione
è di fronte al Parlamento. Se il
Parlamento è sovrano, noi chiediamo che
i magistrati con la toga sulle spalle
(non come me che sono in aspettativa)
non facciamo comizi pubblici mentre la
legge è in discussione perchè anche la
Corte ha detto che questa è
interferenza. Se si fanno conferenze
stampa per dire che questo o quello non
va, prima ancora che una norma sia
varata, allora si esce dal seminato.
Ognuno deve fare il suo gioco. Noi
facciamo il nostro, correttamente, e lo
faremo per tutto il tempo di questa
legislatura».
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