L'Universo astrofisico

Il termine Universo ha avuto nella storia dell'umanità diversi significati nelle diverse epoche. Fino a Galileo, l'Universo coincideva col sistema solare: i cinque pianeti allora noti, la Luna, il Sole, e le stelle fisse sulla volta celeste, a distanza ignota. La prima indicazione dell'esistenza di un sistema stellare complesso si ebbe nel 1610 quando Galileo, puntando il suo cannocchiale verso la Via Lattea, noto che quella debole luminosità lattescente era in realtà composta da una miriade di stelline. già verso la fine del XVIII secolo, T. Wright ed il filosofo tedesco Immanuel Kant descrissero la nostra galassia come un disco di stelle, nel quale il Sole avrebbe occupato una posizione centrale. Sulla base di pure speculazioni filosofiche, Kant inoltre profetizzo che le nebulose visibili nel cielo notturno fossero altrettante universi isole simili alla nostra galassia. Finalmente, nel 1838 F. A. Bessel determino la distanza della stella 61 Cygni, facendo compiere alle dimensioni dell'Universo conosciuto un balzo di molti ordini di grandezza. Negli anni seguenti, l'astronomo W. Herschel e suo figlio John identificarono correttamente e definitivamente la Via Lattea come un sistema stellare appiattito e delimitato. Fino ai primi anni del secolo XX, le dimensioni della Via Lattea e la stessa posizione del Sole erano però grossolanamente errate, poiché gli astronomi non tenevano alcun conto dell'estinzione della luce stellare causata dalla polvere galattica. Ancora nel 1922, ad esempio, J. C. Kapteyn rappresentava la Via Lattea come un sistema ellissoidale appiattito di raggio pari a circa 8 kpc (1pc=3.26 anni-luce=3.26 10^13 km, 1kpc=1000 pc, 1 Mpc=1000 kpc), con il Sole non lontano dal centro. Contemporaneamente, un intenso dibattito si svolgeva intorno alla natura delle nebulose, se fossero cioè galassie distanti simili alla nostra o nubi di materiale gassoso relativamente vicine ed interne alla Via Lattea. Fu solo con i successivi lavori di H. D. Curtis, H. Shapley, B. Lindblad e soprattutto E. Hubble, sul finire degli anni '20, che le dimensioni della Via Lattea e la natura extragalattica di molte nebulose venne finalmente chiarita. Ma forse la data di nascita della moderna cosmologia si può far risalire al 1936, anno di pubblicazione del fondamentale lavoro di E. Hubble, The Realm of Nebulae, col quale veniva finalmente stabilito, grazie anche al nuovo e potente telescopio di 2.5 m di Mount Wilson, il moto recessivo delle galassie, e veniva formulata una prima stima delle loro distanze.

Sul piano teorico, nel frattempo, i lavori di K. Schwarzschild, A. Eddington, A. Friedmann, G. Lemaitre, W. deSitter H. P. Robertson, A.G. Walker, R. C. Tolman, ed altri, oltre allo stesso Einstein, introducevano la Relatività Generale in cosmologia ed astronomia, predicendo tra l'altro l'esistenza dei buchi neri e di un moto globale di espansione della materia cosmica. Veniva inoltre enunciato il principio cosmologico di omogeneità ed isotropia, secondo cui l'Universo, ad ogni dato istante, appare in media lo stesso ad ogni osservatore (Milne, 1935). Questo principio, introdotto su basi al contempo empiriche e filosofiche, è alla base di tutte le maggiori teorie cosmologiche che da allora si sono via via succedute.

Nel 1946, G. Gamow, dopo pioneristici lavori di Tolman, formulava l'ipotesi del big bang caldo, secondo la quale l'Universo ebbe inizio da uno stato ad altissima temperatura e densità, nel quale tutti gli atomi, nuclei o altre strutture legate erano scomposti negli elementi costituenti. Nel 1948 Gamow, insieme a R. A. Alpher e H. A. Bethe (dai cui nomi la umoristica sigla alpha-beta-gamma attribuita alla teoria), ipotizzava poi correttamente che i nuclei atomici si formano nell'Universo caldo primordiale quando la temperatura sia scesa abbastanza da permettere ai protoni e neutroni di combinarsi negli elementi stabili. Inoltre, Alpher e R. Herman (1948) predicevano che la radiazione primordiale, raffreddata dall'espansione cosmica, dovesse avere oggi una temperatura intorno a 5 K (-268 C) ed una forma spettrale detta di corpo nero (cioè analoga a quella emessa da un corpo in equilibrio ad una data temperatura). Nel 1964, A. Penzias e R. Wilson, calibrando l'antenna radio di Holmdel, New Jersey, destinata a scopi commerciali, rilevarono un flusso di radiazione di corpo nero a T=3.5 K ed a una lunghezze d'onda di 3.2 cm, di provenienza assolutamente isotropa. I fisici americani R. Dicke, P. Peebles, P. Roll e D. Wilkinson, che lavoravano indipendentemente intorno alle possibili conferme sperimentali della predizione di Gamow, prontamente identificarono la misura di Penzias e Wilson con il residuo della radiazione primordiale del big bang. Da allora, il fondo cosmico di radiazione costituisce la prova principale della validità dello scenario del big bang. Il più autorevole rivale, il modello dello stato stazionario di H. Bondi, T. Gold e F. Hoyle, secondo cui l'Universo è sempre esistito nella forma in cui lo vediamo oggi, e quindi non ha mai avuto una fase calda, veniva quasi universalmente abbandonato.

Dal 1965 ad oggi la conoscenza dell'Universo fisico ha vissuto una fase accelerata che possiamo qui solo sintetizzare.

Sul piano teorico, il modello del big bang caldo si è confermato come modello standard cosmologico. Nel 1981 A. Guth (riprendendo e completando contributi importanti di A. Starobinsky, A. Linde, K. Sato) ha avanzato l'ipotesi dell'inflazione cosmica, una fase di espansione accelerata primordiale capace di moltiplicare le dimensioni dell'Universo di almeno 10^30 volte in una frazione infinitesima di secondi. Alla fine dell'inflazione, l'energia dell'ipotetico campo detto inflatone, che avrebbe guidato l'espansione stessa, si converte in altre forme di particelle e radiazione, riscaldando l'Universo ed innescando le stesse condizioni termodinamiche del big bang. La teoria dell'inflazione risolve alcuni problemi del modello standard, del quale costituisce un complemento, ed è attualmente lo scenario più accettato tra i cosmologi. Essa, inoltre, spiega soddisfacentemente la generazione delle perturbazioni primordiali.

Nel campo osservativo, la realizzazione dei grandi telescopi e radiotelescopi internazionali e l'avvento dell'astronomia da satellite hanno portato alla scoperta e allo studio di nuove classi di oggetti celesti di importanza cosmologica, quali i quasar, le pulsar, le radiogalassie, le sorgenti gamma ed X, le lenti gravitazionali, etc.. Molti sforzi, inoltre, si sono indirizzati verso la determinazione di accurate distanze e posizioni angolari delle galassie, in modo da ricostruire la geografia dell'Universo a grandi scale. Il catalogo del Lick Observatory, compiuto da C. Shane e C. Wirtanen nel 1967, i cataloghi di G. Abell e collaboratori degli ammassi di galassie (1958-1988), le mappe angolari APM basate sulle osservazioni del Palomar Observatory (1990), i cataloghi del Center for Astrophysics (1986-1995), costituiscono altrettanti significativi esempi dello sforzo cosmografico degli astronomi. D'altra parte, anche il fondo cosmico di radiazione è stato studiato con grande vigore dopo la sua casuale scoperta, alla ricerca delle minuscole fluttuazioni necessarie, secondo la teoria standard, alla formazione delle galassie. Infatti, le fluttuazioni primordiali che, per autoattrazione gravitazionale, sono oggi collassate in brillanti galassie, devono aver lasciato la loro impronta nel fondo cosmico al momento della sua genesi, quindici miliardi di anni fa, distorcendone appena percettibilmente il flusso. Nel 1992, il satellite americano COBE ha finalmente rivelato, dopo anni di parziali insuccessi, una distribuzione di fluttuazioni sul fondo cosmico dell'ordine di una parte su centomila, in ottimo accordo con le previsioni. Possiamo oggi dire che il risultato di COBE, la scoperta di Penzias e Wilson, e le abbondanze dei nuclei leggeri nell'Universo (v. oltre) sono le prove principe del modello standard del big bang inflazionario.

Tuttavia, il quadro che in anni recenti è emerso negli studi sulla distribuzione delle galassie sta ponendo una interessante sfida allo scenario standard. Le galassie appaiono infatti dislocate secondo strutture tutt'altro che semplici, a volte descritte come cellulari, filamentose, spugnose, o altre definizioni tanto fantasiose quanto inaccurate. Se questa complessità, in apparente contrasto con l'ipotesi classica di omogeneità ed isotropia, implichi la necessità di una rivisitazione della cosmologia tradizionale, è ancora difficile da dire. Non è difficile invece profetizzare nuove sorprese a mano a mano che lo sguardo dei telescopi si estende, magari dallo spazio, verso nuove regioni finora inesplorate.

Quadro d'insieme dell'Universo.

Le stelle che possiamo osservare ad occhio nudo appaiono uniformemente distribuite nel cielo. Questa impressione, però, è dovuta unicamente al fatto che possiamo distinguere ad occhio nudo o con piccoli binocoli solo stelle molto vicine alla Terra, non più lontane di alcune migliaia di anni-luce. In realtà le stelle sono distribuite in un disco di spessore di circa 200 pc, per un diametro di circa 40 kpc, con un rigonfiamento centrale ed un nucleo molto denso. Questo insieme, di circa 10^11 stelle, nel quale il Sole occupa una posizione a circa 8.5 kpc dal centro, costituisce la nostra Galassia, la Via Lattea. Le stelle del disco sono disposte principalmente su bracci spiraleggianti, e possiedono una velocità di rotazione che dipende dalla posizione radiale, e che raggiunge i 250 km/sec nelle zone più esterne. La forza centrifuga generata dalla rotazione bilancia la forza gravitazionale che attira le stelle verso il nucleo e rende stabile il sistema. Al di fuori della nostra Galassia, troviamo a breve distanza una distribuzione approssimativamente sferica di ammassi globulari, sorta di satelliti galattici composti da circa 10^6 stelle, che delineano il cosiddetto alone galattico. Oltre l'alone, inizia lo sconfinato regno delle galassie. Da alcune centinaia di kpc fino alla massima profondità osservabile con gli attuali strumenti, pari a circa 3000 Mpc, troviamo infatti miliardi di galassie, di forme, colori, dimensioni e composizione estremamente varie. Molte di esse possiedono geometria simile alla nostra, le galassie spirali (circa il 60% del totale), a loro volte suddivise in varie sottoclassi; altre sono di forma ellissoidale, senza un disco pronunciato, le galassie ellittiche (15%); altre di forma intermedia, le galassie lenticolari (20%); altre infine mostrano una forma irregolare (5%). Le ellittiche si differenziano dalle altre galassie per il basso contenuto di gas e polveri, per la ridotta attività di formazione di nuove stelle, e per la scarsa velocità di rotazione, compensata da alte velocità radiali. Le dimensioni delle galassie spaziano da sistemi circa cento volte più piccoli della Via Lattea a rare galassie ellittiche circa cento volte più grandi della nostra; analogamente, le luminosità delle diverse galassie coprono un intervallo di diversi ordini di grandezza, secondo una distribuzione descritta dalla funzione di luminosità. A breve distanza (770 kpc) dalla Via Lattea troviamo la galassia spirale di Andromeda (M31), di dimensioni e caratteristiche molto simili alle nostre. M31 e la più piccola M33 sono le sole galassie visibili ad occhio nudo nel nostro emisfero. Le galassie sono separate da una distanza media di alcuni Mpc, cioè di alcune decine di volte la loro stessa dimensione. Questa densità relativamente alta fa si che, al contrario delle stelle, esse possano entrare in collisione con probabilità non trascurabile. Queste interazioni possono indurre profonde modifiche della struttura delle galassie e dei loro moti interni, tanto da alterarne la classificazione morfologica, e da complicare lo studio della formazione ed evoluzione delle galassie.

Le galassie, a loro volta, non sono distribuite in maniera uniforme. La loro disposizione nello spazio e anzi cosi complessa che tra i compiti centrali della cosmologia c'e proprio quello di delineare la struttura a grande scala dell'Universo mediante la costruzione di mappe angolari o tridimensionali (posizione nel cielo e distanza) delle galassie. Le galassie appaiono distribuite preferenzialmente in gruppi e ammassi, di forma approssimativamente sferica e di raggio fino a qualche Mpc, composti da poche unita ad alcune migliaia di galassie. Il Gruppo Locale, del quale la Via Lattea ed Andromeda sono i principali esponenti, ospita anche circa 25 altre galassie minori, tra cui le galassie irregolari dette Nubi di Magellano, visibili nell'emisfero meridionale. Le distanze dei corpi oltre il Gruppo Locale sono note solo con una certa approssimazione; per comodita, questa incertezza viene incorporata nell'unità di misura scrivendo Mpc/h invece di Mpc, dove h è una costante compresa tra 0.5 e 1, che verra meglio definita nel seguito. A circa 15 Mpc/h si estende l' ammasso della Vergine (cosi denominato dalla costellazione nella quale appare proiettato), che conta centinaia di membri, e che è di fondamentale importanza nello studio delle distanze cosmiche e dei moti peculiari. A circa 70 Mpc/h, troviamo inoltre l'ammasso della Chioma di Berenice (Coma), altro importante e ricchissimo ammasso di galassie. Grazie anche ai primi studi sistematici di F. Zwicky e G. Abell negli anni '50, conosciamo al presente la posizione e la distanza di circa un migliaio di ammassi, fino a profondità di alcune centinaia di Mpc.

Spesso gli ammassi stessi sono raggruppati in superammassi, strutture irregolari ed estesissime (fino a decine di Mpc), di forma a volte filamentosa o planare. Alcuni astronomi identificano un Superammasso Locale centrato sull'ammasso della Vergine, del quale il nostro Gruppo Locale farebbe parte. Benché lo studio dei superammassi non sia ancora sistematico, a causa della difficoltà della raccolta di dati attendibili su grandi aree di cielo e a grandi profondità, pure la loro esistenza è fuor di dubbio e il loro ruolo nella storia e nella geografia dell'Universo è certamente non secondario. Infine, un'importanza sempre maggiore viene attribuita all'esistenza di grandi vuoti nella distribuzione delle galassie. A partire dai primi anni '80 si sono infatti identificate parecchie regioni approssimativamente sferiche, di diverse decine di Mpc di diametro, quasi completamente vuote di galassie, tra cui il notevole vuoto di Bootes, del diametro di 60 Mpc/h, centrato a 150 Mpc/h dalla Via Lattea. E' ancora oggetto di dibattito e studio la questione se questi vuoti siano effettivamente vuoti di materia, o soltanto privi di materia abbastanza luminosa da essere osservata, come appunto le galassie. Questo problema rimanda alla questione dell'esistenza e della natura della materia oscura.

E' necessario a questo punto osservare che l'immagine che noi riceviamo oggi di un oggetto lontano risale al momento in cui la luce è stata emessa. Se la velocità della luce è indicata con c, la luce di una galassia a distanza d (espressa in anni-luce) risale a d/c anni fa. Noi quindi vediamo, ad esempio, Andromeda com'era due milioni e mezzo anni fa. Questo intervallo è molto minore dell'età dell'Universo, pari a circa 15 miliardi di anni fa ed è quindi probabilmente ininfluente. D'altro canto, galassie a distanza, ad es., di 500 Mpc risalgono a 1,5 miliardi di anni fa, quando le condizioni di densità, di composizione chimica, etc. erano certamente diverse da oggi. Questa relazione distanza/età ha, tra l'altro, due conseguenze, una positiva ed una negativa. Quella positiva è che gli astronomi hanno l'opportunità di osservare oggetti a diversi istanti della loro evoluzione, ottenendo informazioni altrimenti irrecuperabili sui processi fisici nelle epoche passate. La conseguenza negativa e che è difficile in generale separare le variazioni casuali tra galassia e galassia da quelle legate alla loro evoluzione nel tempo.

Una descrizione dell'Universo basata unicamente sulla posizione delle galassie e certamente incompleta. Molte altre informazioni di interesse cosmologico sono infatti ottenibili mediante le osservazioni da telescopio o da satellite: la morfologia delle galassie (ellittiche, spirali, o altro), la loro composizione stellare (contenuto in elementi chimici, moti di rotazione delle stelle), le loro velocità radiali. Particolarmente importante per ricostruire la storia dell'Universo è la composizione chimica della materia stellare. La moderna spettroscopia permette di ricostruire le abbondanze percentuali degli elementi chimici con notevole precisione. Ad esempio, il Sole e composto per il 74.5 % di Idrogeno, per il 24% di Elio-4, e per il resto da piccole quantità di elementi di peso atomico maggiore, genericamente denominati metalli dagli astrofisici. Nonostante le reazioni termonucleari nel Sole e nelle altre stelle trasformino idrogeno in elio ed in elementi via via più pesanti, le percentuali suddette sono abbastanza rappresentative della composizione media della materia visibile nell'Universo, sia nella nostra Galassia che nei sistemi extragalattici. In generale, le stelle più giovani sono caratterizzate da maggiori quantità di metalli, prodottisi in popolazioni stellari precedenti, e poi riemessi nello spazio interstellare durante le esplosioni delle supernovae. La composizione chimica stellare è perciò un prezioso indicatore di età.

Non tutta la materia dell'Universo è contenuta in stelle. Nella nostra stessa Galassia, ed in genere nelle galassie spirali, una frazione non trascurabile di materia e in forma di gas e polvere (mezzo interstellare, o ISM). Questa vera e propria atmosfera galattica è il mezzo dal quale si formano nuove stelle, e nel quale le supernovae ed i venti solari immettono nuovo materiale. Tra i gas principali, sono da notare una componente molecolare (idrogeno H2, monossido di carbonio CO, ed altre molecole anche molto complesse) fredda (20 K) raccolta in grandi nubi; una componente di idrogeno neutro (HI) a 100 K, anch'essa raccolta in dense nubi; una componente neutra e calda (6000 K) e molto più rarefatta che circonda le nubi neutre fredde; nubi di idrogeno ionizzato HII (cioè protoni) e altri gas anch'essi ionizzati a 8000 K, che circonda gruppi di stelle calde, e che occupa un 10% del volume galattico; ed infine una componente caldissima (10^6 K) e molto tenue di gas riscaldato dalle esplosioni di supernovae, e che occupa un 70% della Galassia. Queste componenti gassose ricoprono ruoli importanti nell'economia di una galassia. Le dense nubi molecolari fredde, ad esempio, collassando sotto la loro stessa gravita, sono i siti preferenziali di formazione stellare. La componente di idrogeno atomico HI è ugualmente di notevole importanza dal punto di vista osservativo. Infatti, quando l'elettrone atomico inverte il suo momento magnetico da parallelo ad antiparallelo rispetto al protone attorno al quale orbita (transizione iperfine), esso emette un fotone di lunghezza d'onda 21 cm, facilmente osservabile dalle antenne radio, e non schermato dalla polvere interstellare. Le mappe radio dell' HI a 21 cm sono uno strumento fondamentale per la conoscenza della struttura interna delle Galassie. Infine, negli ammassi di galassie si osserva la presenza di un gas caldissimo (10^7-10^8 K) di idrogeno ionizzato (ed altri nuclei più pesanti, fino al ferro) che emette raggi X di origine termica di grande interesse cosmologico, e che contribuisce alla massa totale degli ammassi quanto o più delle stelle contenute nelle galassie.

La polvere interstellare è composta da granuli di dimensioni fino a circa 10^-5 cm, pari alla lunghezza d'onda della luce visibile, che rappresentano una massa dell'ordine dell'1% del mezzo interstellare totale. Nonostante il piccolo contenuto in massa, la polvere riveste un ruolo importante in astronomia perché responsabile della forte attenuazione della luce (nella banda ottica) in direzione del centro galattico e delle zone ad alta densità di materia. L'origine della polvere interstellare è da ricercarsi nelle atmosfere fredde delle giganti rosse.

Una rassegna delle forme di materia presenti nella nostra Galassia e nell'Universo non può trascurare di citare l'ipotesi della materia oscura, una componente non visibile perché non interagisce elettromagneticamente (o interagisce troppo debolmente), e che diverse evidenze sperimentali fanno ritenere essere presente sia all'interno delle galassie, sia nello spazio intergalattico, in misura da dieci a cento volte superiore alla materia visibile. La sua natura, la sua estensione e la sua origine sono ancora in gran parte incerte, benché ci siano pochi dubbi in merito alla sua esistenza, richiesta da un gran numero di indizi osservativi. Tra i possibili componenti della materia oscura sono certamente da menzionare i buchi neri, previsti dalla Teoria della Relatività Generale ma della cui esistenza non si possiede ancora una prova certa. Poiché per loro natura non osservabili direttamente, dobbiamo limitarci ad inferirne l'esistenza dai processi dinamici causati dal fortissimo campo gravitazionale nelle loro immediate vicinanze. Nella nostra Galassia e nella Grande Nube di Magellano si conoscono diversi sistemi stellari binari, in cui si ipotizza che un buco nero, la cui massa è desunta dal moto orbitale della stella compagna, strappi gas dall'atmosfera di quest'ultima, emettendo forti quantità di raggi X. Altri astronomi ipotizzano che al centro del nucleo della Via Lattea, e di molte altre galassie simili, risieda un buco nero gigante ( 10^5 - 10^9 masse solari), in continuo accrescimento a spese della materia circostante. Al di fuori della nostra Galassia, si ritiene che le enormi emissioni radio e ottiche dei quasars e dei nuclei galattici attivi, siano dovute ad un simile meccanismo di accrescimento di un enorme (almeno 10^8 masse solari) buco nero, che accumula massa su una struttura discoidale o toroidale orbitante intorno al suo equatore. Nel nucleo della galassia NGC4261 il satellite europeo-americano Hubble Space Telescope ha individuato nel 1995 una struttura toroidale di accrescimento che sembra confermare in pieno questo scenario.

La tematica dei forti campi gravitazionali si è arricchita a partire dalla fine degli anni '70, quando si osservo la prima lente gravitazionale (Walsh etal 1979). Le lenti gravitazionali, già predette da Eddington e Einstein negli anni '20 e '30, si osservano quando un corpo lontano, in genere un quasar, si trova sulla stessa linea di vista di un altro corpo celeste più vicino, molto massivo e compatto, in genere il nucleo di una galassia. La massa più vicina all'osservatore agisce allora come una lente convergente, deviando la luce emessa dal quasar lontano in modo da produrre due, o anche più, immagini distinte dello stesso oggetto. Si conoscono fino ad oggi solo pochi esempi di lenti gravitazionali. Alcune di esse formano spettacolari gruppi di tre o quattro repliche dello stesso quasar, come la cosiddetta Croce di Einstein (Q2237+031) ed altri esempi recenti osservati dall'Hubble Space Telescope. Effetti lente più deboli distorcono, anziché sdoppiare, le galassie lontane in forme arcuate (lenti gravitazionali deboli). Infine, corpi oscuri compatti, di natura ancora incerta, amplificano per effetto lente la luminosità di singole stelle della nostra stessa galassia o di galassie vicine (microlenti).

Osservazioni in altre lunghezze d'onda

I dati osservativi sull'Universo provengono quasi interamente dalle onde elettromagnetiche (o fotoni) emesse dai corpi celesti che raggiungono la Terra. A seconda della lunghezza d'onda lambda nella quale si effettuano le osservazioni, si parla di una astronomia gamma ( lambda< 10^-8 cm), X ( 10^-8 cm < lambda<10^-6 cm), ultravioletta ( 10^-6 cm < lambda <4 10^-5 cm), ottica ( 4 10^-5 cm < lambda <7 10^-5 cm), infrarossa ( 7 10^-5 cm < lambda < 10^-1 cm) o radio ( 10^-1 cm < lambda ). In generale, un corpo celeste emette a tutte le lunghezze d'onda; nella maggior parte dei casi, pero', si ha una emissione preferenziale in una particolare banda, a seconda dei processi fisici che originano l'emissione stessa. Ad esempio, un corpo a temperatura superficiale T emette principalmente ad una lunghezza d'onda (in centimetri) lambda=0.51/T (Legge di Wien), cosicché il Sole, la cui temperatura superficiale è di circa 5800 K, ha la massima emissione nella banda ottica, la sola percepibile dall'occhio umano e alla quale l'atmosfera è trasparente. Altri meccanismi di emissione, non termici, presentano andamenti diversi dalla legge di Wien.

Storicamente, le maggiori informazioni sulla distribuzione della materia nell'Universo sono provenute dai tradizionali studi ottici compiuti mediante grandi telescopi come il Palomar Observatory (apertura 5 m), o lo specchio ad alveare del Keck Telescope (10 m) a Mauna Kea, Hawaii. Queste osservazioni hanno portato a tracciare il quadro d'insieme dell'Universo riportato sopra. Altre informazioni di interesse cosmologico sono state ottenute, spesso soltanto in anni recenti, nelle altre bande elettromagnetiche. Notiamo, in particolare, che le bande gamma, X e ultravioletta (UV) sono osservabili solo fuori dall'atmosfera (e quindi da satelliti, palloni sonda, missili etc.), sia a causa del disturbo introdotto dai fotoni gamma generati dall'impatto dei raggi cosmici con l'atmosfera, sia per la relativa opacità dei gas atmosferici a quelle lunghezze d'onda.

Nella banda gamma si osservano quattro classi distinte di fenomeni. La prima è costituita da un fondo galattico diffuso, che si pensa originato da interazioni tra raggi cosmici e mezzo interstellare. La seconda classe è costituita da una piccolo numero di sorgenti galattiche, non tutte individuate, quali pulsars e binarie compatte. La terza è un fondo cosmico extragalattico di origine ancora incerta (tra le ipotesi: effetti quantistici alla superficie di buchi neri, annichilazione materia-antimateria, nuclei galattici attivi). La quarta, infine, la più interessante da un punto di vista cosmologico, e formata dai cosiddetti gamma-ray bursts (GRB), ovvero da eventi di emissione brevissimi (da frazioni di secondo a qualche decina di secondi) provenienti da sorgenti distribuite isotropicamente su tutto il cielo, di origine tuttora misteriosa. Osservati inizialmente nel 1970 da un satellite artificiale dedicato al monitoraggio di esplosioni nucleari militari, i GRB sono stati studiati intensamente da diverse missioni spaziali dedicate, tra cui il satellite Gamma Ray Observatory lanciato nel 1991 dalla NASA, che ha individuato alcune migliaia di GRB. La natura di questi eventi e, come detto, ancora incerta. A parte rare e controverse eccezioni, i GRB non si ripetono, e non hanno controparti ottiche o X. L'isotropia della loro distribuzione, incompatibile con la posizione delle sorgenti stellari del disco galattico, induce la maggior parte degli astronomi ad avanzare una origine extragalattica, forse a distanze maggiori di alcune decine di megaparsecs. In questo caso l'energia emessa in ognuno di questi eventi sarebbe enorme, ed incompatibile con l'ipotesi più semplice di fotoni emessi da elettroni accelerati nei campi magnetici delle stelle di neutroni. Sarà quindi forse necessario ricorrere a spiegazioni più sofisticate, ed attendere l'individuazione di controparti in altre lunghezze d'onda.

Lo studio astronomico nella banda X ebbe inizio nel 1962 con la scoperta da parte di B. Rossi, R. Giacconi e collaboratori di una radiazione X isotropa e di una forte sorgente galattica, denominata Sco X-1. Oltre al fondo isotropo, in questa banda si osservano numerose sorgenti galattiche ed extragalattiche, dovute ai gas caldissimi emessi nelle esplosioni delle supernovae, e dai violenti scambi di materia che si instaurano nei sistemi stellari binari formati da giganti rosse e stelle di neutroni o buchi neri. Forti emissioni X si hanno inoltre dai nuclei galattici attivi, secondo i meccanismi di accrescimento del buco nero centrale come sopra menzionato. Recenti esperimenti da satellite (ad esempio il satellite anglo-tedesco-americano ROSAT), hanno permesso di individuare l'emissione X dovuta al gas caldo intergalattico a 10^8 K intrappolato nel campo gravitazionale degli ammassi di galassie. Queste osservazioni sono di grande interesse cosmologico perché permettono, sotto certe ipotesi, di stimare la massa gravitazionale totale dell'ammasso stesso, e quindi di studiarne la componente oscura. Il fondo X isotropo, infine, è dovuto all'insieme delle sorgenti extragalattiche tanto lontane da non poter essere risolte individualmente, a cui si somma probabilmente una componente ancora non ben identificata.

La banda UV e stata utilizzata finora prevalentemente per ricerche limitate alle stelle della nostra Galassia. E' stato comunque osservato un fondo UV di natura extragalattico, che si pensa provenire dalla luce stellare in galassie lontane rifratta dai gas interni, e da un gas di alone galattico a 10^5 K.

Nella banda infrarossa (IR) si osservano diverse componenti di interesse cosmologico. Come già accennato, i granuli di polvere interstellare hanno dimensioni simili alla lunghezza d'onda della luce visibile ( 10^-4 cm). Questi granuli (analogamente a quelli sospesi nell'atmosfera terrestre, responsabili dell'arrossamento del Sole al tramonto) lasciano filtrare preferenzialmente radiazione di lunghezza d'onda maggiore delle loro stesse dimensioni. Le osservazioni in IR sono quindi di grande aiuto nello studio delle regioni galattiche di attiva formazione stellare, tipicamente ricche di nubi molecolari e di polvere interstellare, ed in genere delle galassie ricche di polveri diffuse, come le galassie spirali. Il satellite IRAS (lanciato nel 1983) ha completato un grande catalogo di più di 250.000 sorgenti, circa 20.000 delle quali extragalattiche, catalogo particolarmente utile perché esteso all'intero cielo. A lunghezze d'onda intorno al millimetro (ed oltre), come già accennato, la componente più significativa è invece il fondo cosmico di radiazione a 2.75 K, residuo, ormai raffreddato dall'espansione cosmica, della radiazione primordiale del big bang.

Lo studio della banda radio risale agli albori della cosmologia moderna. Gia negli anni '30, infatti, K. Jansky e G. Reber misuravano il flusso radio dal Sole e dal disco galattico, le più potenti sorgenti radio del cielo. Le onde radio, specie quelle più lunghe di 10 cm, penetrano praticamente indisturbate attraverso il mezzo interstellare e la stessa atmosfera terrestre, e non necessitano di superfici accuratamente levigate come gli specchi ottici. Questo facilita enormemente l'osservazione da Terra e permette, al contempo, di osservare fin dentro i densissimi nuclei galattici. L'emissione radio e, in generale, dovuta a diversi meccanismi fisici. Tra questi, citiamo la transizione iperfine a 21 cm dalle nubi di Idrogeno atomico, le emissioni di certe molecole interstellari, la stessa radiazione di fondo cosmico già menzionata ( il cui spettro si estende ben dentro la banda radio). Il meccanismo prevalente e però costituito dalla radiazione di sincrotrone, emessa quando una particella carica è dotata di grande velocità, in genere un elettrone, è indotta da un campo magnetico a spiraleggiare intorno alle sue linee-forza. Intensi campi si generano in corpi compatti, come stelle di neutroni e buchi neri, o nelle regioni che circondano le supernovae; questi corpi sono quindi le maggiori radiosorgenti sia nella nostra che nelle altre galassie. In particolare, i buchi neri massicci che si ritiene esistano al centro di molte galassie possiedono fortissimi campi magnetici e costituiscono infatti le più potenti sorgenti radio extragalattiche. A grande distanza ( parecchie centinaia di Mpc), laddove è molto difficile identificare la nebulosa galattica circostante, il nucleo delle radiosorgenti appare come un corpo puntiforme, detto quasar (da quasi-stellar radio source). A distanze minori, si hanno radiosorgenti associate a galassie sia ellittiche che spirali (nuclei galattici attivi, galassie di Seyfert). Spesso i nuclei attivi espellono lungo l'asse di rotazione spettacolari getti di materia a velocità vicina a quella della luce, fino a distanze di centinaia di kpc, culminanti in zone di forte emissione radio. I conteggi delle radiosorgenti in funzione del loro flusso di energia hanno evidenziato che i quasar, praticamente assenti nelle nostre vicinanze, erano molto più numerosi in passato (e quindi a grandi distanze). Questo fenomeno, che deve essere ancora soddisfacentemente inquadrato nelle teorie di formazione delle galassie, induce a ritenere i quasar una fase primitiva, ormai esaurita, nella storia di alcuni tipi di galassie.

Osservazioni non fotoniche

La radiazione elettromagnetica non e l'unica forma di energia che proviene dallo spazio cosmico. In anni recenti si sono cominciate a compiere osservazioni mediante rivelatori di onde gravitazionali, raggi cosmici, neutrini e altre forme di materia oscura.

Le onde gravitazionali, secondo la Teoria della Relatività Generale di A. Einstein, sono prodotte da ogni corpo non sferico (o sistema non sferico di corpi) soggetto ad una qualsiasi accelerazione (ad esempio, collasso, rotazione, interazione con altre masse) . Esse, pero', non sono state ancora osservate direttamente. Una forte prova della loro esistenza proviene dal rallentamento delle rotazioni della binaria pulsar denominata PSR1913+16 a causa di perdita di energia per irradiazione di onde gravitazionali. L'intensità di queste onde e proporzionale a G/c^5 , dove G è la (piccola) costante universale di gravitazione e c è la (grande) velocità della luce, ed è quindi estremamente ridotta. Le attuali antenne gravitazionali, ideate già nel 1960 da J. Weber, sono capaci di rivelare il passaggio di onde gravitazionali solo in presenza di eventi di drammatica violenza, come il collasso di una stella in buco nero, o l'esplosione di una supernova nella nostra galassia, ma la tecnologia delle antenne gravitazionali è in rapida evoluzione. Le onde gravitazionali, oltre ad essere una prova suprema della Relatività Generale, sono di rilievo in cosmologia poiché molti modelli dell'Universo primordiale predicono l'esistenza di un fondo di onde gravitazionali diffuso ed isotropo, benché di intensità tuttora fuori della portata degli esperimenti.

I raggi cosmici sono particelle cariche di altissima energia (da 10^2 a 10^11 GeV, da confrontarsi con i 10^2 GeV ottenibili nei più potenti acceleratori di particelle) che bombardano incessantemente la Terra da tutte le direzioni. Scoperta la loro natura extraterrestre nel 1912 da V. F. Hess, i fisici si concentrarono sul problema della loro origine e della loro composizione. Oggi sappiamo che i raggi cosmici sono composti dai nuclei di tutti gli elementi chimici naturali (con grande preponderanza del nucleo di idrogeno, il protone) in proporzioni simili a quelle presenti nel sistema solare e nelle altre stelle, con l'aggiunta di piccole percentuali di elettroni, e delle antiparticelle degli elettroni (positroni) e dei protoni. I campi magnetici del sistema solare deflettono i raggi cosmici in modo da mascherarne la direzione di origine, che oggi si ritiene essere le supernovae della nostra stessa Galassia. Parte dei raggi cosmici di maggiore energia proviene anche da sorgenti extragalattiche come l'ammasso della Vergine.

In tutti i processi di fusione nucleare, come quelli che si producono all'interno delle stelle, si liberano grandi quantità di neutrini di varie energie. I neutrini sono particelle neutre di massa incerta, ma non superiore a circa 10 eV, cioe almeno 50000 volte più leggeri dell'elettrone, e cento milioni di volte più leggeri del nucleo d'idrogeno, il protone. Forti emissioni di neutrini si verificano anche in coincidenza con l'esplosione delle supernovae. Lo studio dell'emissione di neutrini dal Sole e dalle supernovae è un'importante ramo dell'astronomia non fotonica. In alcuni modelli di formazione delle galassie si suppone l'esistenza di grandi quantità di materia oscura calda, di cui i neutrini sono il principale, benché non l'unico, esempio. Un'eventuale scoperta di un fondo cosmico di neutrini avvalorerebbe questa ipotesi.

Infine, altre forme di materia oscura massiva sono attivamente ricercate, finora senza successo, in grandi laboratori sotterranei ( allo scopo di schermare i raggi cosmici) come il Laboratorio Nazionale del Gran Sasso, ispezionando le variazioni calorimetriche che il passaggio di particelle massive dallo spazio lascerebbe nei rivelatori.

Modelli cosmologici relativistici

La cosmologia moderna si basa in larga misura sulla Teoria della Relatività Generale di A. Einstein. Questa lega le proprietà geometriche spazio-temporali dell'Universo al suo contenuto di materia. I modelli cosmologici più comuni sono esaminati alla voce Cosmologia. Qui ci basterà richiamare alcune definizioni necessarie alla comprensione di quanto segue.

Consideriamo la distanza tra due galassie abbastanza lontane tra loro da non avere significativa interazione gravitazionale. Sia R(0)=r la loro distanza al tempo presente t_0 . Come è noto, e come vedremo meglio in seguito, l'Universo si espande, e dunque la distanza R(t) al tempo t minore di t_0 era minore di r . (Si osservi che le dimensioni delle galassie e degli ammassi non si espandono, a causa della loro forte autoattrazione gravitazionale.) Poniamo allora R(t)=a(t) r , dove la funzione crescente col tempo a(t) è detta fattore di scala cosmico. In teoria, la funzione a(t) potrebbe essere diversa in diversi punti dello spazio; i modelli standard assumono al contrario che l'Universo obbedisca al principio cosmologico, secondo cui l'Universo appare uguale in tutti i punti dello spazio (omogeneità) ed in tutte le direzioni (isotropia). La funzione a(t) caratterizza perciò completamente i modelli cosmologici omogenei ed isotropi. L'andamento di a(t) può essere calcolato esattamente se si conosce il tipo di materia contenuta nell'Universo e la sua densità. L'equazione che lega il fattore di scala al contenuto di materia dell'Universo, derivata per la prima volta dal fisico russo A. Friedmann nel 1922, è uno dei più profondi risultati della Relatività Generale. Definendo la funzione H= (da/dt) /a , dove da/dt è la derivata temporale di a(t) , si ha H^2=8pi G rho/3-k/a^2 , dove rho è la densità di materia, G è la costante di gravitazione universale e k assume i valori 0,-1,+1 a seconda che lo spazio sia Euclideo (o piatto), iperbolico (aperto), o parabolico (chiuso). A seconda dei tre casi l'Universo si espandera infinitamente ( k=0 o -1), se l'energia cinetica iniziale è sufficiente a vincere od eguagliare l'autogravitazione della materia cosmica, oppure collasserà dopo un tempo finito nel caso contrario ( k=+1 ) . La situazione è analoga ai tre casi che si danno per un proiettile sparato verso lo spazio: se esso ha energia iniziale sufficiente si allontanerà per sempre dalla Terra (in analogia all'Universo aperto); se ha poca energia ricadrà in un altro punto (Universo chiuso); se infine ha una determinata energia intermedia entrerà in orbita intorno alla Terra (Universo piatto). Se definiamo la densità critica rho_c=3 H^2/8pi G , ed introduciamo il parametro di densità Omega=rho/rho_c , possiamo riscrivere l'equazione di Friedmann come Omega=1+k/a^2H^2 , dalla quale si vede che l'Universo aperto ha densità minore di quella critica ( Omega<1 ), l'Universo chiuso è caratterizzato da Omega>1 , ed l'Universo Euclideo ha invece esattamente Omega=1 . Il valore attuale del parametro di densità è indicato come Omega_0 . E' da sottolineare che la funzione Omega(t) è monotona nel tempo: se oggi misurassimo, per ipotesi, Omega_0>1 , ne potremmo trarre la conclusione che l'Universo ha sempre avuto densità Omega>1 ; ugualmente, Omega<1 ad un dato istante implica Omega<1 ad ogni istante. Il caso Omega=1 è particolare, perché e instabile, e dunque una qualsiasi fluttuazione casuale allontanerebbe l'Universo dalla soluzione Euclidea.

Se complementiamo l' equazione di Friedmann con l'equazione di conservazione dell'energia in uno spazio in espansione, possiamo risolvere esattamente le equazioni cosmologiche, ed ottenere sia a(t) che la funzione rho(t) . Si hanno allora due casi rilevanti. Schematizzando il contenuto di materia come la somma di una componente relativistica (come la radiazione elettromagnetica) ed una non-relativistica (la materia ordinaria come i protoni e neutroni), si ha in generale che se la componente relativistica (per semplicità, la radiazione) è dominante, allora a(t) cresce come t^1/2 ; se invece domina quella non-relativistica (la materia), allora a(t) va come t^2/3 . In entrambi i casi, la densità rho diminuisce come t^(-2) . Si può allora vedere che la densità di radiazione diminuisce come a^-4 , mentre la densità di materia diminuisce come a^(-3) , cioè meno rapidamente. Quindi, quando l'Universo si e espanso di un certo fattore, la materia prende il sopravvento sulla radiazione. Questo fatto, come vedremo oltre, è di importanza cruciale.

Come si può vedere, il fattore di scala a(t) decresce all'indietro nel tempo. Questo induce immediatamente a chiederci che aspetto avesse l'Universo nel momento del big bang in cui a(t)=0 . In questo istante, tutta la materia era infinitamente compressa, e quindi a densità infinita: si è in presenza di una singolarità nelle equazioni cosmologiche. E' chiaro che questa situazione non è ben definita; molti fisici ritengono che le nostre teorie della materia e della gravitazione siano capaci di trattare i fenomeni cosmici solo a partire dal cosiddetto tempo di Planck, 10^(-43) secondi dopo la singolarità. Prima di questo istante, sarebbe forse necessario disporre di una soddisfacente teoria quantistica della gravita, che è invece ancora lontana dall'essere formulata.

Diversi altri modelli cosmologici alternativi sono stati presi in considerazione nel corso della ricerca astrofisica. Tra questi, abbiamo già citato il modello dello stato stazionario, proposto da Bondi, Gold e Hoyle negli anni '50, ed oggi sostenuto solo da una esigua minoranza di cosmologi.

Densita', età e dimensioni dell'Universo

Come abbiamo visto, il parametro di densità al presente Omega_0 (notiamo che la densità critica vale oggi rho_c= 2 10^(-29) h^2 gr/cm^3, dove h è la stessa costante incognita introdotta sopra) assume un ruolo cruciale nelle equazioni relativistiche cosmologiche. Una sua valutazione osservativa e perciò della massima importanza. Purtroppo, è anche della massima difficoltà. Attraverso sforzi osservativi immensi, possiamo oggi trarre alcune conclusioni relativamente affidabili. Inventariando tutta la materia osservabile (essenzialmente galassie e gas diffusi intra- ed intergalattici) otteniamo stime dell'ordine di Omega_v=0.01-0.1 . A questo valore occorre però aggiungere le stime, indirette e quindi forzatamente imprecise, della materia oscura totale contenuta nelle galassie, nei loro aloni, e negli ammassi di galassie. Queste stime cadono nell'intervallo di valori Omega_mo=0.1-1 , a seconda dei metodi di inferenza utilizzati e della profondità cui ci si spinge nelle osservazioni. Indicativamente, osservazioni vicine sembrano fornire valori bassi, mentre quelle più profonde sembrano orientarsi verso Omega_mo maggiori. Infine, e da tener presente la possibilità di una costante cosmologica, che attribuisce una densità di energia finita al vuoto, densità che dovrebbe quindi sommarsi alla densità di materia totale. Riassumendo, la questione fondamentale circa la geometria dell'Universo (Euclideo , iperbolico o parabolico), ed il suo destino futuro (collasso o espansione eterna) è ancora ben lontana dall'essere risolta.

Il problema della determinazione di Omega_0 si lega a quello della stima dell'altro parametro basilare dell'Universo fisico, la sua velocità di espansione attuale H_0 . I due parametri definiscono inoltre l'età dell'Universo stesso.

La materia contenuta nell'Universo non è statica. I pianeti orbitano intorno al Sole, il Sole e le altre stelle orbitano intorno al centro galattico, le galassie si allontanano le une dalle altre in un moto globale di espansione dell'Universo. Quest'ultimo fenomeno, osservato prima da V. Slipher (1915) e poi sistematicamente da E. Hubble sul finire degli anni '20, è di fondamentale importanza nel delineare le principali proprietà dell'Universo. Se si confrontano gli spettri della luce stellare delle galassie lontane con quelle vicine e con gli spettri di laboratorio degli elementi noti, si osserva un sistematico spostamento verso il rosso (cioè verso lunghezze d'onda maggiori, equivalente a luce di energia minore). Questo effetto viene normalmente interpretato come la conseguenza del moto di recessione delle sorgenti galattiche dall' osservatore: la lunghezza d'onda della radiazione emessa da una sorgente in allontanamento e, infatti, tanto maggiore quanto maggiore è la velocità della sorgente (effetto Doppler). Una sorgente in avvicinamento, al contrario, emette luce spostata verso il blu. L'osservazione fondamentale di Hubble, da allora ampliata e confermata infinite volte, fu che gli spettri della maggior parte delle galassie sono spostati verso il rosso, e che, fatto di ancora maggiore importanza, le sorgenti a distanza r possiedono, in media, una velocità di recessione proporzionale alla distanza secondo la legge, detta di Hubble, v= H_0 r . La misura della costante di Hubble H_0 e, come detto, un compito centrale della cosmologia osservativa. Come si può vedere dalla legge di Hubble, la quantità 1/H_0 ha le dimensioni fisiche di un tempo. Secondo i modelli di Universo standard, il tempo T_0=a/H_0 , dove a è una costante dell'ordine dell'unità che dipende in dettaglio dal modello cosmologico, corrisponde all'eta dell'Universo. Risalendo di T_0 anni indietro nel tempo si giunge quindi all'epoca del big bang, cioe all'epoca in cui tutta la materia era compressa in dimensioni infinitesime. La costante a e compresa tra 2/3 (se Omega_0=1 ) e 1 (se Omega_0=0 ) per i modelli cosmologici di Friedmann, è può assumere anche valori maggiori in presenza di una costante cosmologica. Le misure di Hubble (1929) implicavano un'età dell'Universo particolarmente breve (appena due miliardi di anni), addirittura in conflitto con le stime geologiche delle rocce terrestri. Attualmente, si stima 1/H_0 dell'ordine di 10 div 20 miliardi di anni; nelle unità astronomiche correnti si ha H_0=100 h km/sec/Mpc, dove h=0.5div 1 . Notiamo che si valuta l'età delle stelle più antiche (dette di Popolazione II), come ad esempio quelle contenute negli ammassi globulari, in 16 +- 2 miliardi di anni. Questo valore, se confermato, implica un valore di h vicino al limite inferiore, oppure la presenza di una costante cosmologica.

L'espansione dell'Universo secondo la legge di Hubble è in perfetto accordo con le equazioni di Friedmann della Relatività Generale, secondo le quali la soluzione più generale di un Universo omogeneo ed isotropo prevede un moto generale di espansione o contrazione della materia tale da mantenere l'isotropia e l'omogeneità. Naturalmente, ogni altro osservatore deve rilevare esattamente lo stesso tipo di espansione isotropa con velocità proporzionale alla distanza, in accordo col principio cosmologico. Secondo il modello cosmologico corrente, il valore di H_0 , pur uniforme nello spazio, decresce nel tempo; l'indice 0 indica dunque il valore al presente. Il tasso di decrescita di H_0 è misurato da una ulteriore costante fondamentale, detta parametro di decelerazione, ed indicato col simbolo q_0 . Una misura esatta di q_0 è estremamente difficile; i valori correnti indicano q_0 compreso tra 0 e 1 (in assenza di costante cosmologica si ha q_0=Omega_0/2 ). Per la semplicità della legge di Hubble, e per comodità osservativa, si usa spesso indicare la distanza cosmologica di una galassia o quasar con il valore del suo spostamento relativo verso il rosso, misurato dal rapporto (detto redshift) z= Delta lambda/lambda , tra lo spostamento Delta lambda della lunghezza d'onda e la lunghezza d'onda lambda stessa. Per piccole distanze (fino ad alcune centinaia di Megaparsecs), si ritrova la legge di Hubble nella forma r=c z/H_0 , dove c e la velocità della luce. Per distanze maggiori, la relazione si complica per effetti relativistici. I quasars, ad esempio, presentano valori di z spesso superiori ad uno, fino a z= 5 , pari a distanze dell'ordine di c/H_0=3000 Mpc/h.

Le dimensioni dell'Universo sono legate alla sua eta. Infatti, se T_0 è l'età dell'Universo, la luce non può aver viaggiato per un periodo maggiore di T_0 , e dunque aver percorso la distanza D_0=cT_0 ( c =300.000 km/sec). Poiché l'Universo è in espansione, la distanza effettivamente percorsa è un pò maggiore di questa. Un calcolo relativistico esatto mostra che la dimensione dell'Universo osservabile è D_0=2c/H_0=6000 Mpc/h nel modello piatto.

Storia termica dell'Universo

Prima di addentrarci in una breve storia termodinamica dell'Universo dobbiamo accennare alla struttura microscopica della materia cosi come è descritta dalle teorie quantistiche dei campi. Esistono in natura due tipi fondamentali di particelle, i fermioni ed i bosoni, distinti tra loro per la quantità s , detta spin, che caratterizza le modalità delle loro interazioni. I bosoni hanno spin intero ( s=0,1,2,.. ), e sono associati alle quattro interazioni fondamentali esistenti in natura: l'interazione forte, debole, elettromagnetica e gravitazionale. I fermioni hanno invece spin semintero ( s=1/2, 3/2,.. ) e si dividono in sei tipi di quarks e sei di leptoni (elettroni, particelle mu e tau , e tre specie di neutrini), più le rispettive antiparticelle, raggruppati in tre famiglie distinte. Le masse delle particelle elementari sono in genere espresse in elettronvolt (eV), e rispettivi multipli, in particolare il MeV ( 10^6 eV) ed il GeV (1 GeV= 10^9 eV= 10^-24 grammi). Ad esempio, l'elettrone ha massa 0.5 MeV, i quarks hanno massa compresa tra frazioni di GeV e circa 160 GeV per il top quark, i protoni ed i neutroni hanno massa di circa 1 GeV, il fotone ha massa nulla, etc. Le interazioni tra tutte queste particelle avvengono in base a ben determinate regole, e sono proporzionali a delle costanti di accoppiamento di cui la comune carica elettrica e un esempio. Le interazioni sono inoltre esprimibili mediante delle simmetrie matematiche delle teorie quantistiche delle particelle, dette simmetrie di gauge. In una interazione forte, due o più fermioni si scambiano dei bosoni detti gluoni (da glue, colla). Le interazioni forti legano insieme i quarks negli adroni, particelle fermioniche a loro volta suddivise in mesoni, formati da due quarks, e barioni, formati da tre quarks, tra cui le particelle più comuni in natura, i protoni ed i neutroni. Tutti i quarks esistenti in natura sono confinati entro qualche adrone, e solo per frazioni infinitesime di secondo e possibile strappare i quarks ai loro bozzoli adronici. Ben diversa, come vedremo, era la situazione nell'Universo primordiale, in cui l'altissima temperatura impediva il confinamento dei quarks. Le interazioni deboli sono responsabili delle interazioni tra leptoni, tra cui i decadimenti radioattivi, e sono mediate dai bosoni denominati Z e W (massa circa 100 GeV). Le interazioni elettromagnetiche sono esperienza quotidiana di ognuno: tutti i fenomeni elettrici e luminosi, e la struttura molecolare della materia, infatti, sono dovuti allo scambio di fotoni, i bosoni della forza elettromagnetica. Infine, l'interazione gravitazionale, di gran lunga la più debole tra le varie forze, viene attribuita allo scambio di gravitoni tra le particelle; anche a causa della intensità estremamente piccola della gravità (basti pensare che l'attrazione gravitazionale dell'intera Terra è facilmente vinta da una comune calamita), la teoria quantistica dei gravitoni e tuttavia ancora in uno stato insoddisfacente. Citiamo infine che, in luogo di particelle puntiformi, come assunto nel modello standard fin qui presentato, alcune teorie propongono delle particelle fondamentali estese nello spazio, e rappresentabili come stringhe di dimensioni molto minori di 10^(-17) cm. Queste potrebbero aver avuto un ruolo rilevante proprio nella storia primordiale dell'Universo, quando le dimensioni stesse dello spazio erano comparabili con quelle delle stringhe.

Armati di questo schema succinto delle particelle fondamentali, vediamo ora il loro ruolo nella storia dell'Universo.

Le tappe principali di questa storia sono determinate in larga misura dall'evoluzione della temperatura media cosmica. La storia primordiale (cioe anteriore alla formazione delle stelle e delle galassie) dell'Universo e perciò principalmente una storia termica. Non è compito della cosmologia fisica chiedersi come nasce l'Universo, poiché non abbiamo alcuna maniera sperimentale di verificare o confutare ipotesi sulla nascita dell'Universo. Tuttavia, le speculazioni matematiche della cosmologia quantistica portano ad ipotizzare una creazione spontanea come fluttuazione del vuoto, fluttuazioni permesse nelle teorie quantistiche ed effettivamente osservate in laboratorio, benché per frazioni infinitesime di secondo. Alcuni studiosi (I. Fomin, E. Tryon, 1973) hanno ipotizzato che la presenza di un fortissimo campo gravitazionale abbia permesso alle fluttuazioni del vuoto di esistere per un tempo lunghissimo o infinito, generando cosi il nostro Universo, invece di essere immediatamente riassorbite nel vuoto assoluto. Tutte le osservazioni correnti ci portano comunque ad immaginare l'Universo primordiale come uno stato ad altissima temperatura (vicino alla temperatura di Planck, circa 10^31 K, a circa 10^(-43) sec dalla nascita dell'Universo). In un mezzo a tale temperatura ogni stato legato, molecole, atomi, nuclei, adroni, è irrealizzabile. La materia era dunque scomposta nei suoi elementi costituenti, cioè quarks, leptoni e bosoni. Secondo il modello standard delle particelle elementari, alle temperature primordiali dell'Universo le tre interazioni non-gravitazionali, l'interazione forte, debole ed elettromagnetica, erano unificate in una singola forma di interazione. Il numero e la temperatura (cioe l'energia cinetica media) delle particelle del plasma primordiale erano mantenuti in equilibrio termodinamico da questa forma di interazione unificata. A mano a mano che l'Universo si espande la materia si raffredda secondo la legge T ~ 1/a , in maniera del tutto analoga a quanto avviene per un gas che si diffonda liberamente senza scambiare energia con l'ambiente esterno (espansione adiabatica). Proprio come in un gas, l'espansione, rarefacendo la materia, diminuisce la frequenza delle interazioni tra particelle e radiazione. Quando la distanza media che una determinata specie di particelle può percorrere prima di interagire con il mezzo in cui è immersa (cammino libero medio), diventa maggiore della dimensione stessa dell'Universo, quella specie cessa di interagire con il mezzo circostante, e si disaccoppia dall'equilibrio termodinamico. Questo processo permette finalmente la formazione di stati legati tra particelle. Attraverso una serie di transizioni di fase, si giunge quindi alla formazione di strutture via via più complesse, dai quarks ai protoni e neutroni, da questi ai nuclei atomici, dai nuclei, ricombinati con gli elettroni, agli atomi, che infine, collassando gravitazionalmente, generano stelle e galassie. Questa crescita di complessità si instaura in definitiva a causa dell'espansione dell'Universo.

Percorriamo quindi le principali tappe termiche dell'Universo. Dapprima, a temperature dell'ordine di 10^27 K, le interazioni deboli ed elettromagnetiche si separano da quelle forti. Questa transizione di fase potrebbe aver portato all'inflazione cosmica, cioè ad una fase di espansione accelerata, capace di espandere le dimensioni dell'Universo di un fattore 10^30 in una frazione infinitesima di secondo. Quindi, ad una temperatura di 10^15 K ( 10^(-11) sec dal big bang), si ha la transizione elettrodebole, nella quale la forza elettromagnetica di differenzia da quella debole: si crea qui la luce come la conosciamo attualmente. Più avanti nel tempo, a temperature di 10^13 K, si ha la cosiddetta transizione quarks-adroni, durante la quale i quarks si legano insieme a formare gli adroni. Da quel momento in avanti, come già menzionato, i quarks resteranno sempre confinati negli adroni.

In questa fase, l'Universo è costituito essenzialmente da protoni e neutroni (più elettroni e neutrini, di massa totale comunque trascurabile) e soprattutto di radiazione elettromagnetica, cioè fotoni. Si parla perciò di epoca della radiazione. A circa 10 secondi dall'inizio del big bang, la temperatura scende al di sotto di 10^10 K, e si raggiunge un'altra tappa fondamentale, la nucleosintesi: i protoni ed i neutroni si combinano nei nuclei atomici più leggeri, formando essenzialmente tutto l'idrogeno e quasi tutto l'elio ( ^4 He) oggi esistente nel cosmo. Frazioni minuscole di elementi più pesanti, come il deuterio (isotopo dell'idrogeno composto da un protone ed un neutrone) , l'isotopo elio-3 ( ^3 He) ed il litio ( ^7 Li), sono inoltre generate. Dalla fine della nucleosintesi ad oggi, solo i nuclei delle stelle hanno potuto trasmutare alcuni elementi in altri, attraverso le reazioni di fusione nucleare. Quindi, conoscendo il tasso di produzione e distruzione di questi elementi nelle stelle si può risalire dalle osservazioni attuali alle abbondanze primordiali, come dapprima suggerito da R. Alpher, H. Bethe e G. Gamow (1948) e calcolato in dettaglio da R. Wagoner, W. Fowler e F. Hoyle nel 1967. In particolare, il deuterio e l' He-3 vengono distrutti, e non creati, all'interno delle stelle, e quindi le osservazioni di questi elementi nei gas diffusi o nelle atmosfere stellari costituiscono una diretta prova della nucleosintesi primordiale. D'altra parte, gli elementi di peso atomico superiore, generati solo in misura trascurabile nella nucleosintesi primordiale, sono successivamente prodotti nelle stelle dalle fusioni termonucleari; gli elementi di peso atomico superiore al ferro sono invece prodotti esclusivamente durante le violente fasi finali delle esplosioni di supernovae. Le abbondanze primordiali degli elementi si basano su essenzialmente due parametri: il numero di specie di neutrini, e la percentuale di materia barionica (essenzialmente di protoni e neutroni) rispetto alla densità critica rho_c . Assumendo i valori del tutto ragionevoli di tre specie di neutrini (come è confermato negli esperimenti di laboratorio), e di una densità di particelle barioniche dall'1% al 15 % di quella critica, si raggiunge un impressionante accordo tra teoria ed osservazioni. Questo accordo costituisce una delle maggiori prove della teoria standard del Big Bang.

Dopo la nucleosintesi, a circa 10^11 secondi dal big bang (10.000 anni), la continua espansione ha diluito e sottratto energia alla radiazione al punto che la materia non radiativa diventa ormai predominante: inizia l'epoca della materia, che dura tuttora. E' solo da questa fase in avanti, come vedremo, che le fluttuazioni casuali della materia possono crescere libere dalla frizione radiativa e collassare in stelle e galassie. Alla temperatura di circa 3000 K ( 10^5 anni dal big bang) si arriva ad un altro momento cruciale. L'energia trasportata dalla radiazione è ormai insufficiente ad impedire ai nuclei di idrogeno ed elio di combinarsi con gli elettroni rimasti liberi. La ricombinazione dei nuclei con gli elettroni forma finalmente gli atomi elettricamente neutri che oggi compongono la quasi totalità dell' Universo visibile. Gli atomi neutri, ed ormai rarefatti dall'espansione, non ostacolano più efficientemente la radiazione, che può percorrere cosi distanze paragonabili alle dimensioni dell'Universo. L'Universo, da opaco che era, diventa finalmente trasparente alla luce. La radiazione di fondo cosmico si genera proprio in questo momento. L'epoca della ricombinazione costituisce perciò un limite naturale alle osservazioni astronomiche di tipo fotonico: non è possibile infatti ricevere sulla Terra della radiazione che provenga da tempi anteriori (e quindi distanze maggiori) dell'epoca della ricombinazione. La distanza di questa sorta di barriera ottica è di circa 6000 Mpc/h, distanza che perciò viene definita orizzonte osservabile. Per confronto, i quasar, gli oggetti più lontani finora identificati, si trovano a distanze dell'ordine di 3000 Mpc/h. Il resto della storia non vede altre importanti tappe di natura termica. La radiazione residua, contenuta appunto nel fondo cosmico, si raffredda fino agli attuali 2.75 K. La materia si espande, mentre si formano per collasso gravitazionale tutti i corpi celesti oggi presenti.

Formazione delle galassie

Delle quattro interazioni fondamentali, quella gravitazionale è l'unica a possedere due importanti proprieta': è universale, cioè agisce su qualunque particella, ed e puramente attrattiva (le altre forze fondamentali essendo sia attrattive che repulsive). Grazie a queste proprieta', ed al fatto che il suo raggio d'azione e infinito, la forza gravitazionale e l'interazione dominante nella formazione delle grandi strutture cosmologiche, dalle stelle agli ammassi e superammassi di galassie, nonostante la sua intrinseca debolezza. Infatti, se in un punto dello spazio si ha una densità di materia superiore alla media, questa attira gravitazionalmente altra massa, incrementando la perturbazione stessa, che attira dunque nuova massa e cosi via. La perturbazione iniziale viene quindi ad amplificarsi esponenzialmente, fino al collasso completo (fenomeno dell' instabilità gravitazionale), purché la massa della perturbazione sia sufficiente a vincere la pressione interna del gas (criterio di Jeans). Benché con una legge di crescita molto meno rapida, lo stesso meccanismo è efficace anche in un Universo in espansione (E. Lifshitz 1946). Questo processo ha indotto, secondo la maggior parte dei cosmologi, la formazione delle prime stelle, delle galassie e di tutte le altre strutture più estese. La difficoltà maggiore in questo semplice scenario consiste nell'individuare l'origine fisica delle perturbazioni primordiali che hanno permesso lo scatenarsi dell'instabilità stessa. La teoria correntemente piu accreditata si basa su due ipotesi. La prima, proposta da vari autori tra cui A. Guth e S. Hawking nel 1982, attribuisce la genesi delle fluttuazioni primordiali a meccanismi quantistici avvenuti durante il periodo inflazionario, secondo una certa distribuzione detta di Harrison-Zeldovich, o secondo altre varianti della stessa. Questa ipotesi e', peraltro, comune a diversi modelli teorici di formazione galattica. La seconda ipotesi presuppone l'esistenza di materia oscura fredda (cioè formata da particelle con bassa energia cinetica) in quantità dieci o cento volte maggiore della componente barionica. Le perturbazioni di materia oscura crescono liberamente per instabilità gravitazionale, mentre le perturbazioni nella componente barionica sono diluite dal flusso di radiazione che si stabilisce dalle zone di maggiore densità verso quelle meno dense (smorzamento di Silk). Quando finalmente la radiazione si disaccoppia dalla materia (epoca della ricombinazione), i barioni vengono attirati nei campi gravitazionali della materia oscura, ove prosegue l'amplificazione gravitazionale della protostruttura. E' in quest'epoca che le fluttuazioni primordiali lasciano la loro impronta sul fondo cosmico. Infatti, il cammino dei fotoni, ormai disaccoppiati dalla materia, viene leggermente distorto dal campo gravitazionale delle fluttuazioni (effetto Sachs-Wolfe); tali distorsioni ci permettono di ricostruire la distribuzione e l'intensità delle fluttuazioni di materia. Come già menzionato, le distorsioni (o più esattamente, le anisotropie) del fondo cosmico sono state osservate nel 1992 dal satellite americano COBE, fornendo una conferma decisiva del modello standard del big bang.

Un miliardo di anni dopo il big-bang, il contrasto di densità delta rho/rho , cioè il rapporto tra l'eccesso di densità deltarho nella struttura, e il valore medio della densità nell'Universo rho , diventa dell'ordine dell'unita', segnando la fine della lenta crescita cosiddetta lineare, ed innescando invece un rapidissimo processo di collasso. La protostruttura si distacca dal moto globale di espansione cosmica, e forma le prime strutture legate. Quali siano esattamente i primi oggetti a formarsi, se i piccoli ammassi globulari, formati da 10^6 masse solari, o i grandi ammassi galattici, di 10^15 o più masse solari, o qualche corpo intermedio, dipende dallo specifico modello cosmologico adottato, dall'esatto contributo di materia oscura, dalla presenza di una componente di materia oscura calda, etc . In ogni caso, è da notare che solo i barioni, o una frazione di essi, diventano infine luminosi, sotto forma di gas o stelle, mentre la materia oscura, pure preponderante, resta distribuita in maniera ancora incerta. Nel paragrafo seguente esamineremo brevemente i possibili test osservativi dei modelli di formazione galattica.

La principale alternativa teorica allo scenario inflazionario è costituita dal modello a stringhe cosmiche, nel quale le perturbazioni iniziali sono fornite dal moto relativistico di enormi concentrazioni di energia in forma di stringhe. Le stringhe cosmiche, a loro volta, sono dei difetti topologici dovuti a transizione di fase primordiali di tipo discontinuo (da non confondersi con le particelle-stringhe menzionate precedentemente).

Nei primi anni '80 è stato anche proposto uno scenario di formazione esplosiva, in cui le onde d'urto di una ipotetica popolazione di supernovae primordiali avrebbero spazzato la materia diffusa, creando cosi' i grandi vuoti osservati e facilitando la formazione di galassie. Questo scenario è stato però confutato da varie osservazioni.

Struttura a grande scala dell'Universo

La distribuzione della materia luminosa nello spazio e', come già detto, ben lontana dall'essere omogenea. Le osservazioni profonde hanno rivelato strutture come grandi ammassi e superammassi, vuoti, e addensamenti vari via via indicati immaginativamente come '"grandi attrattori", "grandi muraglie" o perfino '"grandi bozzoli''. Una misura quantitativa della distribuzione di tali strutture è fornita dalla funzione di correlazione spaziale xi(r) . Se m è la densità numerica media di oggetti (ad esempio galassie o ammassi di galassie) nel campione osservativo, e se n( r) è il valore di tale densità nel punto r , la funzione xi(r) è definita come la media di (n( r)- m)/m (quantità detta contrasto di densità numerica) in un guscio di spessore Delta r a distanza r da un'altro oggetto del campione. Se il campione fosse perfettamente omogeneo, si avrebbe in ogni punto n( r)=m , da cui xi(r)=0 . Per i valori di r a cui xi(r) è positivo, il campione è più correlato di un campione omogeneo; laddove al contrario xi(r)<0 , il campione è anticorrelato. Diversi studiosi hanno riportato sin dagli anni '70 un andamento della funzione xi(r) per le galassie a legge di potenza: xi(r)=(r/r_0)^(-gamma) , dove r_0 = 5 Mpc/h e gamma = 1.7 . Simile andamento, ma con un r_0 maggiore, si osserva per gli ammassi di galassie. A scale intorno a 2-3 volte r_0 , le galassie dovrebbero essere distribuite omogeneamente, giustificando a posteriori il principio cosmologico. Il confronto con le distribuzioni di materia ottenute da simulazioni numeriche al calcolatore porta a ritenere le osservazioni in discreto accordo con i modelli teorici descritti nel paragrafo precedente, soprattutto se si assume Omega_0 minore dell'unità (modello aperto). Entrambe le costanti, r_0 e gamma , della funzione di correlazione, cosi come il regime di validità dell'approssimazione a legge di potenza sono però oggetto di intenso dibattito. Il calcolo della xi(r) è reso infatti difficile da vari ostacoli osservativi: la carenza di campioni estesi ed affidabili, la relativa maggiore presenza di oggetti intrinsecamente più luminosi rispetto a quelli meno luminosi (effetti di selezione), e soprattutto la difficoltà di definire una densità media valida per l'intero Universo osservabile. L'osservazione di strutture come vuoti e superammassi di dimensioni tanto più grandi quanto più profondamente si osserva induce infatti fluttuazioni di densità di sempre maggiore ampiezza. In particolare, l'esistenza dei grandi vuoti ha portato spesso a speculare su meccanismi di formazione alternativi come esplosioni, transizioni di fase primordiali, etc. Un secondo importante test statistico delle proprietà spaziali dell'Universo è fornito dai conteggi di galassie lontane, in particolare nelle bande ottiche e radio. Il numero di galassie osservato da uno strumento (ad es., una lastra fotografica) sensibile a flussi di energia superiore a f e infatti proporzionale a f^(-3/2) in un Universo piatto ed omogeneo, ma si discosta da questo andamento se la geometria dell'Universo è aperta o chiusa, o se la densità di galassie varia con la profondità. I conteggi finora effettuati ci dicono che l'andamento e proporzionale a f^(-1) per gli oggetti più lontani (magnitudine apparente m fino a 28, o fino a 30 con l'Hubble Space Telescope). Tuttavia, e difficile trarre conclusioni certe da questo risultato, a causa dei meccanismi evolutivi delle galassie. Infatti, la luminosita' media delle galassie più distanti, e quindi più antiche, potrebbe essere stata anche notevolmente diversa da quella attuale. Distinguere gli effetti evolutivi da quelli geometrici è un'impresa ardua, tuttora non completata.

Concludendo questa discussione sulla distribuzione a grande scala della materia, possiamo affermare che la scelta tra le inconciliabili visioni dell'Universo omogeneo (a scale maggiori di qualche decina di megaparsec) e dell'Universo disomogeneo (o anche frattale, come proposto da B. Mandelbrot nel 1976), e uno degli obiettivi centrali della cosmologia osservativa.

Tra le altre questioni aperte della cosmologia osservativa citiamo infine il problema della distribuzione relativa della materia luminosa e di quella oscura. Quest'ultima può essere rilevata solo studiandone gli effetti gravitazionali, come quelli indotti sulla temperatura e pressione dei gas ionizzati intergalattici, o gli effetti di lente gravitazionale prima accennati, o ancora mediante l'analisi delle perturbazioni sul fondo cosmico di radiazione. Il metodo più utilizzato per stimare l'ammontare di materia oscura consiste nello studiare le velocità indotte dal campo gravitazionale totale sulla materia visibile circostante, costruendo delle mappe dei campi di velocità a grande scala. Infatti, oltre al moto globale di recessione, le galassie presentano moti locali irregolari, detti moti peculiari, determinati dalle fluttuazioni nella densità di materia totale (cioè sia luminosa che oscura), e quindi del campo gravitazionale. Più precisamente, il moto peculiare di una galassia e definito come la sua velocità v lungo la linea di vista, sottratto il moto di recessione cosmico medio v_c=H_0 r . Ad esempio, la galassia di Andromeda ha un moto di avvicinamento verso la Via Lattea di circa 100 km/sec, ed entrambe appaiono attirate verso il grande ammasso della Vergine a circa 300 km/sec. Moti di ancora maggiore estensione, che coinvolgono interi ammassi, e con velocita'spesso dell'ordine di diverse centinaia di chilometri al secondo, si osservano fino a grandissima distanza. I risultati finora raggiunti sembrano suggerire una distribuzione di materia oscura più uniforme della materia luminosa, ma la questione è ancora molto controversa. Ad esempio, il moto di caduta del Gruppo Locale verso l'ammasso della Vergine sembra indicare la presenza di una componente di materia oscura diffusa da dieci a cento volte maggiore di quella visibile.

 RICERCHE  INTERNET a cura del Prof. Luigi Melcarne

Google SKY

RITORNA AL MENU'